sabato 12 marzo 2011

La condizione della donna nella vita ecclesiastica.

Post pubblicato da Fiuggi Vintage su Facebook.

SUOR VINCENZA BONANNI 

Suor Vincenza Bonanni, al secolo Margherita (Rita), nacque il 25 Novembre 1925, primogenita di Vincenzo e di Sforza Valeria nella casa paterna in Via Armando Diaz. Fu la prima di una schiera di sette figli, di cui due, nati gemelli, morirono per sepsi pochi mesi dopo la nascita. Papà Vincenzo lavorava duramente nell’edilizia e mamma Valeria lavorava ancora di più in casa. Rita visse una stagione dell’infanzia spensierata assai breve, perchè presto arrivarono sorelline e fratellini e lei cominciò molto presto a lavorare in casa per aiutare la mamma e accudire i più piccoli per mangiare, per vestirsi , per le pulizie. Ben poco era il tempo che poteva dedicare ai giochi ed alle amicizie tra bambini. Si sentiva un po’ la reginetta della cucina che teneva sempre lustrata a lucido, indugiando per lungo tempo a pulire vetri, piatti, pentole di rame, mattonelle, rubinetti. Tutto in cucina era smagliante, sembrava la casa di mastro Lindo e lei ne era orgogliosa. Finché un giorno nostro padre seccato per tanta testardaggine verso un lavorio, secondo lui inutile, prese una manciata di cenere e la sparse su pentole e mattonelle che Rita aveva appena lucidato. Per lei fu una mortificazione. All’improvviso non si sentiva più la reginetta ma precipitava al ruolo di una umile cenerentola. Quella sera tenne il broncio con papà ed andò a letto senza cenare.
Non conobbe giocattoli nella sua infanzia. Giocava con le bambole di pezza disegnate e confezionate con straccetti rimediati da lei, insieme con me e le cuginette. Era brava al gioco della corda, della campana e delle breccole, i giochi innocenti e semplici di tempi assai poveri. Le bastava poco per essere allegra e sorridente.
A scuola non otteneva grandi risultati, non si impegnava più di tanto ed in classe spesso la maestra la richiamava perché stava con la testa tra le nuvole. Lei si accontentava della sufficienza e non aveva alcuna ambizione di primeggiare. Insomma il comportamento a scuola era senza infamia e senza lode.
Già alla seconda elementare vennero fuori importanti problemi agli occhi per via di una miopia definita progressiva. Fu costretta a mettere gli occhiali bruttini per via di lenti spesse e pesanti.



Di lì cominciò la presa in giro piuttosto cattivella delle compagne e compagni che la chiamavano a gran voce e ripetutamente “quattrocchi, quattrocchi.” Rita si sentiva umiliata e derisa, avrebbe voluto fare a meno delle lenti, perché a quell’epoca era davvero raro vedere un bambino con gli occhiali, ma per la sua vista sempre più indebolita gli occhiali diventavano ancora più necessari. Prima o poi dovevano pure stancarsi di prenderla in giro.
Per governare le galline c’era Rita, per portare da mangiare in cantiere a papa c’era Rita, per andare da zia Assunta a fare la spesa c’era Rita, un pò perché era più grande, un pò perché ai libri preferiva il lavoro. Era una piccola grande lavoratrice.
Nonno Luigiotto aveva un debole per questa nipotina umile, servizievole, disponibile, sempre pronta ad aiutare tutti, mentre non chiedeva mai niente per la sua persona.
Durante la guerra, quando più acuta si faceva la fame per la mancanza di pasta, pane, latte, zucchero, perfino il sale, mia madre riusciva sempre a rimediare in qualche modo per la cena una ciotola di latte e due fette di pane soltanto per il nonno
il quale divideva quasi sempre la cena con qualcuno di noi cinque bambini. Quando il regalo toccava a Rita, lei , senza pensarci due volte, passava il latte ed il pane ai fratelli più piccoli, Lisetta e Virginio e placava i morsi della fame con un pezzo di pane raffermo, se c’era, bagnato nell’acqua.
La morte della nonna Maria, del nonno Luigi e del padre Vincenzo in tempi ravvicinati rafforzarono la vocazione religiosa già fiorita da qualche anno nel suo animo. Nel 1953 venne ordinata suora, con il nome di suor Vincenza in memoria di papà Vincenzo, nell’ordine di Santa Chiara ed iniziò la peregrinazione in giro per l’Italia. Castel San Pietro (Rieti), Cavarzere (Rovigo), Sant’Anna di Chioggia (Venezia) furono le tappe della sua vita da religiosa. Dopo alcuni anni approdò definitivamente a Fiuggi e fu assegnata al Noviziato di via Vecchia Fiuggi dove divideva il tempo tra la preghiera, la portineria e la cura dei bambini dell’asilo. Diventò presto una figura popolarissima, amata dalle mamme ed ancor più dai bambini per la spontaneità, per la vena ironica e piena di allegria, il vezzo inguaribile di parlare il dialetto stretto con tutti , vescovo e Cardinali
compresi che ripetevano con divertimento le parole fiuggine apprese da suor Vincenza. Le giovani novizie brasiliane, filippine, africane imparavano il dialetto fiuggino prima dell’italiano e consideravano suor Vincenza la loro sorella maggiore cui volevano un gran bene. Aveva sempre una parola affettuosa e un dolcetto per i suoi bambini dell’asilo e ben lo sapevano le mamme che vedevano in suor Vincenza una seconda mammina dei loro figli che le affidavano.
Pure insidiata nella salute da una seria cardiopatia era sempre vispa ed allegra e percorreva con gamba lesta più volte al giorno i lunghi corridoi del noviziato per aprire agli ospiti-amici ( ad esempio Nando Martini, Brunello Magini) ai quali offriva un caffè caldo ed una battuta dialettale.
Tutte le case di parenti ed amici ricevevano più volte all’anno la telefonata di suor Vincenza che seguiva da vicino le vicende familiari e si preoccupava con discrezione della salute di tutti. Si può dire che non passava giorno senza che io sentissi per telefono la mia sorella maggiore e proprio la sua scelta religiosa aveva rafforzato il mio affetto per Rita - suor Vincenza, specialmente dopo la morte della nostra mamma Valeria nel 1983. Era legata da profondo affetto, ricambiato, con tutte le suore della comunità ed in particolare nutriva un sentimento di filiale devozione per la madre generale suor Margherita, che, a sua volta, apprezzava ed amava quella suorina per la sua umiltà e la saggezza di cui spesso si giovava per chiedere pareri e consigli
Come già raccontò mio fratello Gino sul giornale Fiuggi cambiando i nomi sotto il titolo “Robin Hood con il saio”, fu proprio suor Vincenza a rifilare la banconota di 50 mila falsa al cugino benestante per non far mancare un piatto di minestra ai bambini poveri dell’asilo. Il cugino perdonò la “birichinata” dicendo che quei soldi potevano essere spesi meglio dalle suore che non da lui.
La bonomia, la semplicità, la spontaneità furono i tratti principali del carattere per i quali si faceva benvolere in convento e fuori dal convento.
Gli ultimi anni di vita furono segnati dalle sofferenze per il progredire inesorabile della malattia che la costrinse a numerosi ricoveri in ospedale sopportati con serena rassegnazione e la preghiera. La sua espressione più frequente era: “sia fatta la volontà di Dio”.

 Post pubblicato da Colombo
SUOR VINCENZA BONANNI
UNA SUORA PERPETUA

Ma i fratelli, di cultura laica e socialista, entrambi laureati, la beatificano, non come serva di Dio, ma per essere stata, nei conventi, nelle parrochie, o nelle curie diocesane, al servizio di preti, vescovi e seminaristi.
Dopo la storia di "Suor Vincenza Bonanni - Una vita da Perpetua" Vi sono altre due storie di suore fiuggine, da raccontare agli ingnari nostri concittadini. Una è quella di Suor Paolina D'amico ed è descritta in un libro a lei dedicato dagli amici del seminario di Anagni, che viene citato in questa:
RISPOSTA - al Prof. Giampiero Raspa Segretario dell’I.S.A.L.M. di Anagni per l’opuscolo da lui pubblicato sulle Sorelle Faioli, per conto dell’Istituto S. Chiara di Fiuggi, col titolo “Storia vera e vera storia” per il capitolo dedicato al

RICORDO DI SUOR PAOLINA
Infatti, a lui piace perfino ricordare quella povera Suor Paolina, che dopo essere stata utilizzata, come donna di fatica, dagli uomini di seminario e di chiesa, per una vita intera, e non avendo il coraggio di proporla, come tale, per la beatificazione, la portano come esempio a tutte alle fanciulle di Fiuggi e della diocesi, ed attraverso un libretto a lei dedicato cercano di salvarsi l’anima, esaltandone le doti che, senza pudore, anche lui si sofferma ad enumerare, nella premessa al suo libro “La santa avventura” del 1992.
“Desidero proporre ai pochi che ebbero la fortuna di conoscerla e ai molti che, per loro sfortuna, non l’hanno conosciuta , un esempio reale:
Suor Paolina D’Amico, la nostra cara “santa Paolina”, la “mamma Paolina” dei seminaristi del seminario di Anagni, che ha trascorso la sua vita in mezzo ai fornelli, tra pentole enormi, ripiene di quintali di maccheroni, con la faccia sempre rossa per la vicinanza del fuoco e col cuore sempre allegro per la vicinanza a Dio, suor Paolina che fino all’ultimo momento non ha avuto tempo di pensare a sé perché era troppo occupata ad amare il suo prossimo e servirlo.”
Ma a sé, invece Suor Paolina, era obbligata a pensare, quando ad esempio per cambiare le scarpe consumate, ed altri oggetti personali; oppure per fare una visita dal medico specialista, doveva rivolgersi alla famiglia, perché né le suore né il seminario provvedeva a procurarle quelle cose, tanto è vero che
la madre prima di morire diceva spesso alle altre figlie di pensare a Suor Paolina, perché aveva bisogno di curarsi, ma per lavorare non aveva neppure il tempo di andare dalle sorelle, a chiedere aiuto.
Il Raspa, queste e tante altre cose non le sa, perché lui da anni, come abbiano visto, sta cercando di scoprire la vita interiore delle sorelle Faioli vissute 250 anni fa, ma non ha mai pensato a scoprire quella delle persone come Suor Paolina che provvedeva - 24 ore su 24 - a far star bene lui, gli altri seminaristi e tutti coloro (preti, parroci, e vescovi) che solo dopo la sua morte, l’hanno riempita di elogi in un libricino a lei dedicato, col titolo “In ricordo di Suor Paolina D’Amico” a cura degli amici del Seminario.
Con quel libretto, viene però rivelato, lo stato di soggezione e di asservimento (secondo loro voluto da Dio) in cui le suore vengono da sempre tenute dalle gerarchie, all’interno dei monasteri, ed all’esterno, nei seminari, e nelle parrocchie.
E questa loro condizione, è stata una delle cause che portarono i governi liberali (tra il ‘700 e l’ 800), per ben tre volte, alla soppressione degli ordini religiosi, e precisamente, nel 1789, con la Rivoluzione Francese, nel 1849, con la Repubblica Romana e nel 1860, con il Regno di Vittorio Emanuele II°.
Ed ecco cosa scrive ancora lo stesso Raspa di Suor Paolina:
“A me pare di riconoscere in lei una verace figlia delle sorelle Faioli (sic) non solo perché appartenne alla Congregazione da quelle fondata, ma anche perché come quelle sembra che abbia lavorato tutta la vita col fine di non lasciar traccia di sé”-

Nel libricino, dedicato a Suor Paolina dagli amici del seminario vescovile di Anagni, ecco cos’ altro si legge:

A Pag.7 “ Suor Paolina nacque a Fiuggi il 22 gennaio 1915 nella parte alta della Città, fu battezzata col nome Italia. Altre quattro sorelle la seguiranno: Gioconda, Florinda, Anna e Corinna, tutte più piccole di lei.” –“Il desiderio di dedicarsi al Signore sorse e maturò in lei col passare degli anni, anche se i suoi familiari non caldeggiavano affatto tale prospettiva.Tuttavia l’esempio della madre, donna pia e virtuosa, le fu di grande aiuto. Aveva vent’ anni quando lasciò la famiglia, per entrare nella Congregazione delle suore di Santa Chiara a Fiuggi.
Al punto 2 - L’ autore si chiede: “Quante ore lavorava suor Paolina? E subito dopo risponde: “ Alle 6, al più tardi, era già alzata per le pratiche di pietà e per i primi servizi. Alle 7,30 la messa con i seminaristi e poi subito in cucina per servire la colazione. Il seguito li immaginate: preparare il pranzo, la merenda, la cena, i pasti fuori orario, l’accoglienza di tante persone che vengono per le più svariate ragioni… Lei è sempre lì, al suo posto, sorridente, serena, accogliente.
Uno suona il campanello. Eccola di fronte alla porta, premurosa, e col più bel sorriso del mondo”. “ Suor Paolina che è in piedi dalle 5 o le 6 del mattino, alle 10 di sera è ancora in movimento. Ma a tale ora, anche se fosse di acciaio, questa suora dovrebbe essere a letto, rotta di fatica. Lei invece veglia ancora, in attesa di qualcuno che potrebbe avere bisogno di lei.”


SUOR VALERIA

E’ la terza emblematica storia di una suora fiuggina.
Nella prima metà del ‘900.

E’ quella della giovane Annunziata di Fiuggi, dagli anni ’20 agli anni ‘90. Eccone la biografia che l’istituto di Imola, dopo la sua scomparsa, avvenuta il 19 ottobre 1994, ha pubblicato sul Bollettino parrocchiale del mese successivo. Siamo nel 1927 e Annunziata Incocciati aveva 16 anni quando iniziò il suo percorso di suora che, contro la volontà di papà Antonio, fu indotta a percorrere, dopo circa 6 anni di frequenza nel locale Convento delle Clarisse, non a Fiuggi, ma a Imola, perché colà, alle aspiranti suore, non veniva chiesta la dote.
.“Apparteneva alle giovani Azione Cattolica della Parrocchia di S. Stefano ed era iscritta alle terziarie francescane, la giovane Incocciati, quando il 6 settembre 1927 all’età di 16 anni è entrata nella nascente istituzione delle piccole suore di S. Teresa del Bambino Gesù di Imola.”Di  indole mite e sottomessa – ha scritto il suo parroco Don Giovanni Biondi – è stata una seconda mamma per le tre sorelle e i due fratelli rimasti a casa. I quali, data la loro tenera età ( rispettivamente di 14-13 e 5 anni le sorelle Adalgisa, Ermelinda e Concetta e di 7 e2 anni i fratelli Silvio e Colombo) ne sentiranno per molto tempo la mancanza. Assidua ai santi sacramenti e alla vita della Chiesa, fu un vero esempio alle sue compagne. La sua vocazione ad una vita più perfetta non data da qualche mese … si può dire che è stata l’ispirazione di tutta la sua vita cominciata il 25 marzo 1911 giorno della sua nascita . Festa dell’Annunciazione del Signore”.
L’8 dicembre 1928 (cioè dopo appena un anno) è pronta per offrirsi tutta a Dio, attraverso i voti di povertà, castità e obbedienza per continuare a vivere con rinnovato ardore il sì alla volontà del Signore in qualsiasi incarico, in qualsiasi situazione. Nell’ agosto dell’anno successivo è a S. Caterina per
assistere i ragazzi e fa tesoro della parola e dell’esempio del Servo di Dio, Don Angelo Bughetti, serbando verso di lui ammirazione e riconoscenza, per tutta la vita.”
“Primizia dell’Istituto Suor Valeria condivide con i fondatori Canonico Giuseppe Mazzanti e Madre Maria Zanelli il sogno e la fatica, caratteristici di ogni inizio. Ancora giovanissima è nominata Superiora e al primo capitolo generale tenutosi nel settembre 1939 è eletta consigliera, carica che le viene confermata nel quarto capitolo celebratosi nel febbraio 1958”.

Una vita da Perpetua, nelle parrocchie e nei seminari.

“Quell’indole mite e sottomessa, non disgiunta da un profondo senso di responsabilità, la rende superiora ambìta dalle consorelle e presente evangelicamente nelle parrocchie dell’Emilia Romagna, in Toscana, in Sardegna e nel Seminario di Ferrara degli aspiranti preti, dove l’obbedienza l’ha inviata. (Cioè a fare la perpetua insieme ad altre suore, dei parroci in quelle regioni e degli aspiranti preti nel seminario di Ferrara. Come negli anni ’80, insieme ad altre consorelle, è stata per lunghi anni, fino ad avanzata età, ad accudire (anziché i fratelli e le sorelle rimaste a casa) numerosi altri seminaristi, in una Parrocchia di Piazza dei Quiriti a Roma.
“La tua fede il tuo amore per il prossimo, la tua affabilità e la tua premura per tutti - ricorda suor Augusta -sono stati per me giovinetta una testimonianza così forte da convincermi che valeva la pena lasciare ogni cosa per seguire Gesù che tu trovasti povero ed affamato, quando giungesti a Cesano nell’immediato dopo guerra e che tu sapesti accogliere con amore.”Tenacemente ferma sui valori della vita consacrata, assimilati nella preghiera e nella fraterna comunione di vita con i fondatori, Suor Valeria seppe accogliere con l’umiltà e la gioia proprie della sua esistenza terrena la rende partecipe delle sofferenze di Cristo, sofferenze che accetta quale espressione di condivisione con lo Sposo e che offre per implorare dal Signore vocazioni sante e numerose. Dal 19 ottobre Suor Valeria è entrata nel mistero della morte e resurrezione di Gesù e noi, le sue consorelle, sentiamo di averla presente più che mai nella comunione dei Santi.

P.S. La didascalia della sua foto apparsa sul bollettino cattolico “Il nuovo diario” è la seguente:
“Il 19 ottobre 1994 ha lasciato serenamente la comunità terrena per il Cielo. L’Istituto ricorda con affetto la Consorella che appartiene alle orgini della sua storia e che ha fatto della sua vita un inno di abbandono fiducioso al Signore e di ardente passione all’apostolato. Esprime nella preghiera la sua riconoscenza.” 

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